Storie di convivenze possibili
raccontate da chi le conosce bene

Libano, Bosnia Erzegovina e Senegal sono tre contesti socio-politici in cui culture e religioni diverse hanno una lunga storia di convivenza pacifica alle spalle… e davanti a sé. E’ la conclusione che possiamo trarre dal racconto che ne hanno fatto, al di là delle cronache superficiali di stampa e TV, tre profondi conoscitori di queste realtà, invitati dall’Assessorato alla Solidarietà e Pace, in collaborazione con la Consulta della Pace comunale, per tre serate di confronto tenutesi fra gennaio e febbraio nella seconda edizione dell’iniziativa: “Religioni e culture sulla via della pace”.

E gli incontri hanno riservato davvero molte sorprese…

La democrazia “consensuale” del Paese dei cedri

Incontro di mercoledì 24 gennaio 2007 – Relatore: Camille Eid

Quasi quasi non ci si crede. C’è un paese nel mondo in cui convivono, in pace e da secoli, diciotto comunità religiose: cristiani maroniti, sunniti, armeni (ortodossi e non), greci (cattolici e ortodossi), sciiti, drusi, alauiti e altri ancora.

La particolarità della composizione demografica del Libano deriva dalla conformazione del suo territorio – ci ha spiegato Camille Eid, giornalista libanese che vive da 22 anni in Italia.

Il Libano da sempre è stato “paese rifugio” per tutte quelle minoranze che, perseguitate nei paesi vicini (Siria, Turchia, Grecia e altri), cercavano protezione fra le sue valli e sulle sue montagne: da sempre, quindi, è stato un popolo costituito da tante minoranze. Da questa sua storia dipende il particolare sistema politico che governa tutt’oggi il paese: democrazia “consensuale” – l’ha chiamata Camille Eid – per differenziarla dalle tante democrazie “numeriche” diffuse nel mondo, che si basano sul concetto di maggioranza. Il potere di governare è distribuito in maniera equa tra i vari rappresentanti delle diverse comunità religiose:
la maggioranza, anche se ci fosse con i numeri, non potrebbe decidere da sola per tutto il paese. Purtroppo, l’arrivo a partire dal 1948 dei profughi palestinesi (da Israele come dalla Giordania) ha trasformato il Libano da “paese rifugio” di coesistenza pacifica a “paese ostaggio” del Medioriente nella guerra che, ancora di recente lo ha devastato.

Da allora, la sua sorte viene decisa da altri, il suo territorio violato, in una lunga serie di occupazioni e guerre; e le varie componenti religiose vengono sfruttate dall’una o dall’altra potenza araba o occidentale per sostenere le proprie – spesso oltranziste – posizioni politiche. D’altra parte, tutto questo era già successo nell’Ottocento, quando le potenze europee, per spartirsi i resti dell’impero ottomano e conquistarsi aree di influenza, si servivano delle comunità come di pedine per raggiungere i loro scopi.

Nonostante ciò, l’esperienza millenaria di pace e convivenza del popolo libanese resta cristallizzata in un sistema politico unico che, testimoniando ancora oggi la storia molto “particolare” del Paese dei cedri, ne fa un modello di convivenza dal quale anche il mondo occidentale avrebbe molto da imparare. Un esempio? Il fatto che musulmani, ospitati da cristiani durante la recente guerra, al ritorno a casa, abbiano voluto piantare una croce alle porte del proprio villaggio.

Bosnia Erzegovina: potrà tornare il felice passato multietnico?

Incontro di mercoledì 31 gennaio – Relatore: Enisa Bukvic

E’ stato davvero sorprendente scoprire dalla viva voce di una bosniaca come si (con)viveva in Bosnia – da secoli – prima della guerra che ha trasformato la Jugoslavia in un teatro per genocidi e stupri etnici. Le cronache degli anni più “caldi” del conflitto ci hanno lasciati sostanzialmente ignari della realtà di questo Paese: una delle poche nazioni multietniche perfettamente integrate, che il nazionalismo esasperato, ancor oggi in qualche modo al potere, ha deciso di distruggere.

La verità – ci ha raccontato Enisa Bukvic, da vent’anni residente in Italia ma vissuta per più di venti in Bosnia – è che già dal Medioevo convivevano pacificamente sul territorio almeno tre comunità religiose: la Chiesa bosniaca (i cosiddetti bogumili – dichiarati eretici dalla Chiesa di Roma ma mai perseguitati), la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica, rappresentata dai Francescani. Con la conquista turca nel 1463, il quadro delle comunità religiose in Bosnia si è arricchito con i musulmani e, nel corso del ‘500 a causa delle persecuzioni spagnole, con una folta rappresentanza di ebrei.

Enisa Buknic ci ha raccontato di un recente passato, da lei vissuto in prima persona, in cui non c’erano “quartieri” riservati all’una o all’altra comunità; in cui il 45% delle famiglie era misto (la stessa Enisa, musulmana, ha una zia cattolica ed una ortodossa); in cui i matrimoni misti erano all’ordine del giorno; in cui la multiculturalità era vissuta come un arricchimento della propria identità culturale e non come uno svilimento del proprio credo e del proprio sentire: tant’è che i ragazzini – ricorda Enisa – festeggiavano indifferentemente le proprie e le altrui feste, condividendo riti e momenti di gioia con i propri compagni di gioco. Ma qual è il segreto di una società multietnica così perfettamente integrata? Enisa ci spiega che quando è arrivata in Italia, vent’anni fa, era rimasta molto sorpresa dal fatto che le feste religiose (Natale, Pasqua, ecc.) fossero così presenti nella vita pubblica e rimbalzassero così prepotentemente sui media: in Bosnia la dimensione religiosa è sempre stata vissuta in una dimensione molto privata e familiare. Forse quindi – ci viene da pensare – il segreto sta proprio in questo: nella totale assenza di qualunque proiezione pubblica del sentimento privato, che vaccina le nazioni contro ogni fondamentalismo.

La recente guerra, purtroppo, ha costretto le varie comunità ad aggredirsi tra loro per motivi – per non dire pretesti – decisi altrove e per obiettivi di “potere e territorio” che nulla hanno a che vedere con la supremazia di un dio sull’altro. E quella lunga guerra fratricida ha lasciato nell’identità del popolo bosniaco-erzegovese ferite profonde, che fanno fatica a rimarginarsi: è difficile, infatti, per un musulmano bosniaco ritrovare
fiducia nel proprio connazionale cattolico o ortodosso che durante la guerra, in esecuzione di ordini, dopo secoli di convivenza serena e ravvicinata, ha iniziato a massacrare chiunque avesse un cognome musulmano. Purtroppo occorre riconoscere che, pur se in misura minore, è accaduto anche il contrario.

Ma la Bosnia, ci siamo chiesti, potrà tornare ad essere la società felicemente multietnica di una volta? “Forse, con il tempo” – ci risponde Enisa. La mia speranza sono le donne – visto che, scomparso il socialismo, sono sparite dalla scena pubblica – ed i giovani: e quindi ancora una volta le donne, che li educano alla vita”.

L’islam senegalese: “ora et labora”

Incontro di mercoledì 7 febbraio 2007 – Relatore: Enrico Casale

Addentrarsi nel continente africano accompagnati da Enrico Casale, profondo conoscitore dell’Africa e delle sue tante realtà, ci ha permesso di comprendere come l’islam non sia affatto un monolite, ma rappresenti tanti diversi modi di vivere e di convivere con la propria spiritualità, le proprie radici ed i propri simili, anche se di religione diversa. L’islam africano, e quello senegalese in particolare, ci sono sembrati – e sono – molto lontani dal fondamentalismo dell’islam arabo, ed in particolare di quello saudita.

Il percorso di islamizzazione del Senegal risale all’XI secolo, con la conversione all’islam da parte del sovrano di uno dei tanti regni che, prima della colonizzazione europea, costellavano il territorio del Senegal.

Le tradizioni culturali animistiche che abbracciano, pur nelle loro infinite differenze, tutto il popolo africano hanno costituito lo zoccolo su cui si è impiantato l’islam, connotandolo già da principio: ne restano tracce ancora oggi nell’uso di amuleti che è molto diffuso tra i senegalesi. Inoltre, l’islam senegalese ha origine nella mistica sufi, una corrente spirituale che in qualche modo attraversa dal punto di vista storico, filosofico e teologico tutto il mondo islamico e che si è innestata nell’islam articolandolo in confraternite, cioè in strutture complesse di discepoli che, sotto la guida di un Maestro, imparavano a percorre la Via mistica per giungere a una diretta conoscenza di Dio. In Senegal è molto importante quella dei Murid che costituiscono il 60% dei musulmani in patria e i 2/3 dei senegalesi in Italia. La caratteristica del loro credo consiste in una fede molto sentita, in una forte disciplina accompagnata da un alto senso del lavoro e, in ultimo, da una grande tolleranza verso tutto ciò che è “diverso”.

Una parte importante dell’economia del Senegal – ci ha raccontato Enrico Casale – sta proprio sulle spalle di questa comunità e sul loro attaccamento al lavoro e alla disciplina, necessari complementi di una fede vissuta con una forte spiritualità. E’ per questo che la convivenza con i cattolici senegalesi è sempre stata ottima, sin dai tempi del loro insediamento all’epoca della colonizzazione francese nel quindicesimo secolo. Come ci ha raccontato un cittadino d’origine senegalese durante la serata, in Senegal ci sono tutt’oggi molti matrimoni misti e, di conseguenza, molte famiglie miste. Moschee e Chiese cattoliche convivono anch’esse nelle città, a poca distanza l’una dall’altra.

Segnaliamo che il periodico locale “La Scossa” ha pubblicato ampie sintesi degli interventi dell’edizione 2006 “Sulle vie dalla pace: troppa religione o troppo poca?”. Gli interessati possono reperirle sul sito www.parrocchiamilanino.it – sezione La Scossa online – gennaio 2007.

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