1928 – SCIOPERO ALLA S.A.S.A. (RACCONTO AUTOBIOGRAFICO)
…. Per ragioni economiche dovetti lasciare la scuola ed andare a lavorare in fabbrica all’età di 11 anni. Subito capii l’andazzo della fabbrica e lo sfruttamento che il capitalismo faceva.
Si lavorava a cottimo, e le operaie per guadagnare qualche cosa in più, si logoravano ed il padrone tagliava i cottimi. Certo seppure giovane di età, dicevo a queste donne adulte: “Non vedete che con più lavorate più il padrone diminuisce i cottimi e aumenta la produzione!” Ma loro non sentivano ragioni dicendo che se lo facevano era perchè si poteva fare. Avevano timore del padrone….omissis
Nel 1928 nel giro di poco tempo tagliarono i cottimi per ben tre volte; allora tutti i 320 operai, dietro la spinta dei più coscienti, decisero di scioperare.
Non si può immaginare lo spiegamento di forze: carabinieri e polizia nel giro di un’ora invasero il paese. Ricordo che venne a parlarci Periè dei sindacati fascisti di Milano ed anche il deputato fascista Begnotti.
Scioperare nel 1928 voleva dire carcere o confino. La massa compatta non riprese a lavorare finchè ebbe la conferma che i cottimi sarebbero tornati come erano prima. Tennero in fabbrica solo le più docili e le altre le licenziarono tutte con 120 lire di multa. Quale enormità per gli operai!
Ci mobilitammo tutti per non pagare e così fummo minacciati di invio al confino e di essere processati, per prima la sottoscritta.
Il giorno del processo si andò tutti in tribunale “Città di Desio”. Ricordo il can can che si fece, urli a non finire e imprecazioni ai caporioni fascisti e ai sindacati.
Dovettero sospendere tutto l’apparato reazionario ed in seguito ad un’amnistia fummo tutti condonati.
Ed è da qui che ebbe inizio la mia attività politica come militante del P.C.I….
BIBLIOGRAFIA
QUELLE DELL’IDEA – STORIE DI DETENUTE POLITICHE
di Laura Mariani – Ed. De Donato
LE DONNE CONDANNATE DAL TRIBUNALE SPECIALE
di M. Mammuccari e Anna Miserocchi – Quaderni dell’ANPPIA
VOLONTARIE DELLA LIBERTA’
di M. Alloisio – Ed. Mazzotta
DA EMPOLI A GENOVA
di Remo Scappini – Ed. La Pietra
LA STORIA DI CLARA
di Rina Chiarini Scappini – Ed. La Pietra
AULA IV (i processi del tribunale speciale – condannati politici)
Ed. La Pietra
ENCICLOPEDIA DELL’ANTIFASCISMO E DELLA RESISTENZA
Ed. La Pietra
MILLE VOLTE NO
di M. Alloisio – Editori Riuniti
DIZIONARIO BIOGRAFICO DELLE DONNE LOMBARDE
di Rachele Farina – Ed. Baldini & Castoldi
LETTERE DI ANTIFASCISTI DAL CARCERE E DAL CONFINO
Editori Riuniti
STORIA E MEMORIA – Rivista a cura dell’Istituto Ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea
ARTICOLI VARI DI GIORNALI:
l’Unità (edizione clandestina) dicembre 1937
Noi Donne 1962 “Il VII Congresso dell’Unione Donne Italiane – intervento di Mirella Alloisio che scopre l’identità della partigiana ligure Elena
Il Giorno 23.4.1988 “Lui e lei partigiani, 40 anni dopo – I compagni di lotta si sono ritrovati grazie a un libro scritto da uno dei protagonisti, Franco Diodati
RESISTENZA E FASCISMO A CUSANO MILANINO
di Ezio Cuppone – edizione a cura dell’ANPI di Cusano Milanino
UNA STORIA LUNGA
DI MIRELLA ALOISIO (PATRIA INDIPENDENTE DEL 25/2/2001)
La prima volta che l’ho incontrata si chiamava Elena: erano i primi giorni di aprile del 1944 e per Genova e la Liguria iniziava il periodo più dura della lotta clandestina.
Avrà avuto trent’anni, era vivace, piena di entusiasmo, ma ferma e decisa: noi ragazze che fino a quel momento avevamo lavorato sotto la guida di uomini che ci spostavano qua e là a seconda delle necessità del momento, trovammo un punto di riferimento, una persona capace di dare alla nostra lotta un senso più chiaro.
Veniva spesso a casa mia, talvolta divideva con noi il pasto di “guerra”: mia mamma provava tenerezza per questa donna della cui vita privata non si sapeva nulla, ma che lasciava intuire la sofferenza per aver dovuto staccarsi dai suoi affetti.
Elena organizzò in provincia di Genova i Gruppi di Difesa della Donna in modo più organico, riuscendo a indirizzare il coraggio delle genovesi verso obiettivi precisi, senza sottovalutare la prudenza: la Liguria ha dato vita a tre Brigate d’assalto partigiane intitolate a tre donne: Alice Noi, Irma Bandiera, Anita Garibaldi.
La sua attività diventava sempre più pericolosa, cambiò nome, divenne Silvana, ma ormai a Genova per lei si era fatta terra bruciata, così fu mandata a Savona, dove l’organizzazione era stata falcidiata a causa delle numerose donne fucilate. E fu in questa provincia che si concluse, il 25 aprile 1945 la sua attività clandestina …..
La Resistenza, l’antifascismo hanno una ricchezza di episodi spesso sconosciuti, i cui protagonisti sono persone straordinarie come questa donna che ha dato tutta se stessa perchè – come diceva lei – “è giusto che tutti siano liberi e godano di un certo benessere”.
Una donna modesta che non ha chiesto riconoscimenti perchè lottava per quello in cui credeva, anche se sarebbe stato giusto che le fossero attribuiti….
C’è un filo che corre fra chi crede nelle stesse cose (specie se per ottenerle si è lottato insieme) che è un rapporto straordinario: il mio con Elena (Marcellina) era di questo tipo.
Ora che non c’è più mi rendo ancora più conto di quanto fosse importante ricevere ogni anno i suoi auguri: non un gesto formale, ma la riaffermazione dell’importanza della solidarietà.
Un valore, questo, che abbiamo sentito con forza nei momenti del pericolo, ma che – come diceva Marcellina Oriani – “aiuta a vivere, sempre”.
INTERVISTA TRATTA DAL LIBRO “QUELLE DELL’IDEA”
DI LAURA MARIANI
…. Ai miei occhi la Resistenza ligure ha il volto di Marcellina Oriani che, costretta a lasciare Milano per ragioni di sicurezza, operò a Genova e a Savona. L’ho intervistata nell’autunno del ’78 per Quelle dell’idea. Storie di detenute politiche 1927-1948 (Bari, 1982): ho potuto così ascoltare un racconto sulla Resistenza pieno di vivi sentimenti e non privo d’ironia, mentre venivano in primo piano alcuni dei problemi che più ci avrebbero fatto riflettere negli anni successivi: dal rapporto con le armi alla violenza sessuale, dal tema del corpo a quello dei suoi travestimenti. Questa la sua testimonianza.
Un giorno ho trovato Bosi, mi ha detto “Sai, dobbiamo mandarti via di qui, ormai sei bruciata”. “Va bene. Mandatemi dove volete”.
Mi ha detto. “Vai al Mercato dei fiori, a Genova Brignole, alla stazione, vai con un “Corrierino dei Piccoli” e col “Corriere della Sera” troverai uno, ti chiamerà per nome. Anche lì, vai, uno in treno si può immaginare quello che provavo.
E vado, cosa dovevo fare? Ma non era venuto all’appuntamento al mattino Scappini, però avevo un appuntamento di riserva. Ho gironzolato fino a quando mi si presenta un bell’uomo e mi dice: “Bene, ciao, sei Marcellina?” Ma io non sapevo il suo nome. Dice “Sono Giovanni” era il nome di battaglia.
Mi ha portato a casa di una compagna ma qui non ho potuto stare tanto, perché questa parlava tanto, allora mi hanno cercato una casa. Loro non sapevano che lavoro darmi in mano, alla fine hanno deciso: “No, no, questa qui fa lavoro organizzativo, la affianchiamo a Marietta, che è Lina Berpi, una levatrice, così lei è di qui, mentre svolge il lavoro ….
Ho fatto un lavoro vastissimo, ho avuto tanti tanti contatti con tutta la Valpolcevera, Sampierdarena, Cornigliano, Voltri, Pegli, Quarto, Quinto, Bolzaneto. Tutti questi paesi della Valpolcevera li avevo collegati, avevo tutti i miei gruppi, un lavoro svolto bene.
Quando io sono arrivata a essere la dirigente di questo movimento, io non ci pensavo, ma era esteso a tanti paesi, si vede che loro hanno visto l’attaccamento, hanno visto che m’aggiustavo nel parlare ma non sono stata una dirigente io.
Io ero impegnata dalla mattina alla sera, non avevo paura. Scendevo, quando avevo qualcosa in tasca con i tram che non erano ancora fermati, saltavo giù. Non so chi mi dava la forza, il coraggio di fare questo, lo facevo. Ci sono stata nove mesi, nove mesi non è un giorno e lì quanti particolari che sono successi. Io mi truccavo, mi tingevo che un giorno facevo la contadina, con in spalla una borsa, quelle reti a tracolla, un giorno ero elegante, mi truccavo col cappello, con i vestiti da due soldi. Ma mi chiamavano Scricciolo anche lì.
Si disarmavano i tedeschi, questo l’ho provato anch’io, anche se ognuna aveva poi il suo compito.
Si andava in due con le canne di bambù, che sembravano i pistolotti tedeschi. Tu andavi con un tedesco fingevi di amoreggiare, poi a un dato momento, puntavi la canna “In alto le mani!” E qui ci procuravamo le armi, gli facevamo sfilare il cinturone e dopo, con le loro armi puntate, li facevamo camminare.
Altre volte andavamo nelle fabbriche di armi, come a Vado Ligure, nella valle che è sempre stata in mano ai partigiani. Io avevo il compito di selezionare le donne che secondo il mio parere andavano bene per un certo lavoro, sia per il lavoro della SAP, sia per i GAP e hanno formato queste tre brigate femminili.
Ci sono state tante donne, da quelle che facevano da palo ai GAP a quelle che hanno fatto saltare i binari a Sampierdarena. E siccome nessuno voleva andare a lavorare in Germania, quando li prendevano e li portavano via sui camion, ho potuto vedere le donne a Cornigliano, in Valpolcevera, aggrapparsi al camion strappando via i figli dai tedeschi e dai fascisti e davano l’assalto dove c’erano patate e farina perché non avevano niente da mangiare.
Era un’epoca un po’ disorientata, potevo entrare anche nelle fabbriche e parlare alle operaie, tramite queste donne. Allora i padroni cercavano di stare dietro le quinte …. Una volta sono stata pedinata, proprio il quei giorni che avevano pensato di mandarmi via e c’era con me Franco, un ragazzo che faceva il lavoro militare.
Questo ragazzo ha detto “Elena, mi sembra che non va. Andiamo nella chiesa. Siamo andati in una chiesa e di questo qui non ho saputo più niente. Mi hanno detto: “Stai attenta perché non è venuto all’appuntamento di riserva”. L’ho rivisto anni dopo e mi ha detto “Oh, Elena, quante botte che ho preso per te, so soltanto però che non sapevo chi eri tu”. L’avevano portato giù per fucilarlo, erano in 16, hanno sparato a mitraglia. Solo che quando sono andati giù i nostri a prelevarli e seppellirli, mancava uno. Franco era sotto tutti questi, era insanguinato, è venuto su …
Hanno arrestato anche delle donne, perché quei mascalzoni non soltanto ci arrestavano, ma approfittavano anche. Potrei fare tanti nomi ma non so i nomi giusti: c’era la Tamara, la Gegia, che è morta, la Mariella, la Gianna con cui avevo più contatto, viveva sotto i portici, era toscana.
Poi hanno pensato di mandarmi a Savona anche perché c’è stato un contrattempo: un bel momento hanno detto che ero una spia, non so da dove è partita questa cosa, si vede dalla reazione che ha sparso la voce che la donna che dirigeva era una spia e che un giorni li avrebbe fatti arrestare tutti. Voleva dire perdere la fiducia, dopo che hai collegato diversi paesi e hai formato questi gruppi uno per uno.
…. Io le direttive le ho accettate perché, essere o non essere, se quelli che dirigevano trovavano giusto far così, io non mi sono mai rifiutata niente e sono partita. Sono arrivata a Savona e hanno portato via la compagna di lì, che era quasi bruciata dopo le fucilazioni.
Mi hanno messo in casa dei Fazio, due anziani, e c’era anche uno non sposato che aveva qualche anno più di me, ma nessuno mi dava 37 anni. Mi hanno portato sulle alture di Savona, vicino a una chiesetta, adesso c’è tutto cemento, tutte fabbriche. Questi erano dei fioristi, avevano in questa specie di casa il camino per far da mangiare, c’era il gas ma non adoperavano mai. Cucinavano dei broccoli con delle patate e dentro anche tutta l’acqua, un po’ d’olio e si mangiava. Però mi volevano un gran bene.
Allora mi facevo chiamare Rina, perché Elena non si poteva più. Di tanto in tanto avevo i collegamenti con quelli di Genova. E lì ho riprovato a mettere insieme i fili dell’organizzazione perché era a terra. Lì c’era qualcuno che mi infastidiva, anche Bosi me l’aveva detto di diventare la sua compagna, ho detto no, ho detto “Io ho il meccanico che mi aspetta”.
Il Chiesa l’avevo conosciuto perché un suo fratello ha sposato una sorella della Tagliabue e c’eravamo fidanzati quando era in carcere. Io ci mandavo sempre i saluti tramite il marito della Invernizzi, aveva preso dieci anni anche lui, era stato arrestato nel ’36, il secondo gruppo che hanno arrestato a Cinisello.
Ci siamo fidanzati, io gli ho detto: “Senti, io ho voluto bene a un uomo e poi non ho più fatto fidanzato, non so se mi innamorerò di un altro uomo. Proviamo. Poi ti premetto che sono molto nervosa, molto pignola, tante cose”.
Dal carcere io sono uscita nel ’38, lui nel ’40 e abbiamo amoreggiato fino al ’43. Poi ha dovuto partire militare perché lui aveva preso dieci anni e noi eravamo esenti da tutte le cose pubbliche, ma si vede che hanno venduto la sua cartolina al distretto per prendere quattrini (…) Non sapevo se era vivo se era morto. Io sono vissuta fino a quando è venuto in Liguria a prendermi, sempre con l’ansia, avevo sempre la speranza. Sognavo, arriva un elicottero, c’è giù lui. Invece purtroppo non è stato così, fino a dopo l’insurrezione.
E’ venuto su con gli americani, a Pesaro si è fermato. Quando hanno liberato Pesaro è stato lui il primo a mettere la bandiera rossa (…)
Poi è venuta l’insurrezione. Genova è insorta due giorni prima, per uniformarsi hanno fatto il 25 aprile ma la Liguria è insorta il 23.
Quella sera lì hanno telefonato “Guarda che incominciamo a sparare”. Allora io ho cercato di avvisare tutti i miei gruppi, ho detto “tenetevi pronti” perché a Genova m’avevano dato l’ordine di fare un corso accelerato per infermiere. Dopo non so quante ore, se è passato un giorno, i nostri hanno occupato una parte di Savona. Dopo che hanno occupato tutti e lì allora abbiamo cominciato a preparare quello che si doveva preparare.
Mi ricordo a Savona, che quando sono venuti giù i nostri compagni, che dopo hanno avuto mezzi per girare la città … bisognava vedere fiori, ovazioni dappertutto, quando sono arrivati gli alleati una cosa morta, con le jeep, perché lì la popolazione aveva compreso che Savona era stata liberata dai partigiani e così nei paesi circostanti (…)
Il Chiesa è venuto il 13 maggio per prendermi (…) Me lo sono vista arrivare e poi baci, abbracci, e le donne che erano lì vicino s’erano anche un po’ commosse, a un bel punto con ‘sti garibaldini, sono sgattaiolati via tutti, m’hanno lasciata solo con Chiesa, m’ha sbaciucchiata, la prima parola che m’ha detto “Come se invecchiata!” e io ho detto “Sacrament, quest chi el me vor pù e io l’ho aspettato”. E’ stato un giorno lui, bisognava che tornasse a Milano. Chiesa è rimasto male che io non sono venuta a casa, ho detto “Io non posso tornare qualcuna mi deve sostituire” Sono stata lì e son ripartita il 28 maggio.